di don Bruno Meneghini –
Miriam di Nazareth, nella sua semplice logica di giovane donna ebrea, si trova di fronte alla rivelazione di un fatto che la coinvolge ma che non comprende. Il mistero della grazia si era aperto dentro di lei; la verità e la giustizia divine potevano diventare, in un’anima libera da distorsioni e stravolgimenti, cioè senza macchia, un essere umano che le incarnava, testimoniando la dignità della vita fino in fondo e fino alla gloria.
Miriam non comprende l’interiorità dell’evento, rispondendo che non era possibile in quanto non aveva mai conosciuto un uomo; la voce ripete l’annuncio, invitandola ad abbandonare i suoi schemi mentali materialistici e ad aprirsi ad una verità misteriosa ed insondabile, che trascende la scienza degli uomini.
E qui il cuore di Miriam fa il grande passo dell’umiltà, intuisce che deve rinunciare a ciò che credeva essere vero perché la verità è altra, sconosciuta, e agisce secondo le sue leggi; e lei, ora, si abbandona, nel vuoto interiore totale e fiducioso, al mistero che sa di non poter comprendere pur avendone sentita la voce. Questa è la gloria dell’anima umana che si apre alla fecondazione dello spirito.
Ma veniamo a noi, qui e ora. Quante volte le circostanze ci invitano a riflettere sul fatto che le cose non stanno come ce le mettiamo in testa? Quante volte restiamo rigidi, indifferenti, con un sorrisetto di sufficienza o uno sbraitare intollerante (malattia d’orgoglio, incapacità d’autocritica, cioè debolezza della personalità), di fronte allo sconosciuto, all’amico, al parente, alla moglie, al marito, al figlio, che ci illustrano i nostri errori e le nostre pretese? Siamo più disposti ad accettare ciò che ci smentisce e ci corregge o a negarlo, fingendo che le conseguenze non esistano? Siamo capaci di metterci in discussione noi prima di additare gli altri?
L’immacolata concezione è quel vuoto interiore ricettivo, privo di contenuti, dalle indefinite e sconosciute possibilità, che è l’anima di un bambino, lo stato interiore che Gesù indicava come chiave del regno dei Cieli; questa condizione di purezza, questa terra fertile, diventerà quello che ne faranno gli adulti e produrrà ciò che vi semineranno gli adulti.
Se il racconto di Miriam è quello di un’annunciazione ascoltata e accettata, il nostro può essere quello di un’annunciazione disattesa, rifiutata. Miriam è una lezione di umiltà che genera la dignità ancora sconosciuta dell’essere umano; la nostra può essere una lezione di orgoglio, superbia, ignoranza e indisponibilità. Miriam fa nascere Dio, noi possiamo renderlo impotente. Miriam dice “SI’”; noi possiamo dire “NO”.
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