( a cura di don Bruno) – La visita di papa Francesco a Palermo in occasione del venticinquesimo anniversario dell’uccisione di don Pino Puglisi per mano mafiosa, induce a riflettere e a chiederci, ancora una volta, quale debba essere il rapporto preti-chiesa-mafia. Il parroco di Brancaccio spesso viene additato come «prete antimafia», ma questa è una configurazione restrittiva. Egli fu essenzialmente un prete, cioè uno che per vocazione annuncia la Buona Novella del Vangelo di Gesù Cristo, che si compendia nell’apertura dell’amore di Dio verso tutti gli uomini. Il prete fa sapere a questi che Dio, per un moto di amore gratuito, desidera che essi liberamente corrispondano a quest’amore. Liberamente, perché non c’è rapporto d’amore senza libertà. Ora, don Pino lavorò per liberare i suoi parrocchiani da quei condizionamenti che non permettevano loro di essere liberi, e perciò che impedivano di corrispondere all’invito divino. Egli s’impegnò, per conseguenza, a liberare i suoi parrocchiani dal contesto che li ostacolava nell’esercizio della libertà, cioè dal soffocante potere di Cosa Nostra. Il suo essere contro la mafia ha qui la sua più profonda motivazione. Perciò ogni prete, in forza della sua vocazione, non può non essere contro ogni forma di mafia, pena il tradimento alla divina chiamata. Non ci sono perciò «preti antimafia», ma solo sacerdoti fedeli alla loro vocazione e missione. Ma il ricordo di Puglisi ci induce anche a chiedere che spazio occupi oggi la questione mafiosa nella pastorale della Chiesa cattolica e nel dibattito ecclesiale. Autorevoli pronunciamenti non mancano, ultimo quello di Papa Francesco che è ritornato, con reiterata lucidità, a decretare la scomunica per tutti i mafiosi. Con ciò inserendosi nella scia di altri precedenti autorevoli analoghi pronunciamenti. Francesco, poi, ha istituito nel giugno 2017 un gruppo di lavoro incaricato di approfondire la questione della scomunica per corruzione e associazione mafiosa. Infine, recentemente a Palermo, il Papa ha rinnovato l’invito ai malavitosi a ravvedersi. Perciò i proclami e le denunce non mancano. Tuttavia ancora oggi la Chiesa, a fronte della questione mafiosa, si trova a confrontarsi con una «ferita ancora aperta». Dunque è urgente chiedersi quale spazio oggi occupi la questione mafiosa nella pastorale della Chiesa cattolica, onde passare subito al «fare». Purtroppo non sono pochi coloro che sostengono debba il sacerdote limitarsi a curare le cose spirituali piuttosto che impegnarsi nel concreto delle situazioni di peccato strutturale, e la mafia è una di queste situazioni. Così facendo però si offrono comode scappatoie a chi farisaicamente concilia pseudo pentimento e buoni rapporti con gli «amici». Si pensi agli «inchini» davanti alle case dei boss durante le processioni. Certo, il processo di secolarizzazione sta coinvolgendo anche le organizzazioni criminali, ma i richiami a forme di pseudo sacralità permangono, così come l’uso dei simboli religiosi e il richiamo alla «fede». Ed è qui che dovrebbe particolarmente indirizzarsi la pastorale quotidiana. Vanno recisi quei legami con i piccoli potenti di paese e borgata che, con denaro e scampoli di potere spicciolo, tendono accreditarsi con una devozione di facciata, persuadendo i preti a «farsi i fatti loro». Ma è proprio quello che non fece don Puglisi. La mafia perciò lo condannò a morte. Anche lui avrebbe potuto stare in silenzio e limitarsi all’amministrazione dei sacramenti. Invece, proprio con il suo impegno pastorale svelò il volto radicalmente antievangelico di questo criminale sistema di potere, che annienta la dignità dell’uomo e vanifica ogni efficace evangelizzazione. Rompendo una pace fatta d’indifferenza, e a volte di connivenza, fu vero prete. Egli evidenziò con la vita e con la morte che il confronto con la questione mafiosa non è una scelta personale di qualche coraggioso, ma una situazione storica attraverso cui Dio interpella la sua Chiesa. Situazione che esige una risposta che attinga direttamente al Vangelo. Ora, per rendere più luminosa ed esemplare la testimonianza e il martirio di don Puglisi, papa Francesco ne ha accelerato la sua canonizzazione.
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