( A cura di don Bruno) – La storia del prelievo fiscale è antica quanto quella delle società umane, pur nella varietà delle forze con cui esso è stato organizzato; altrettanto antichi sono l’uso della forza per ottenere il pagamento delle imposte e i tentativi, più o meno ingegnosi di sottrarvisi: anche la “resistenza” alla tassazione è fenomeno consolidato e le ricorrenti polemiche non devono destare eccessiva sorpresa; piuttosto segnalano l’opportunità di tornare a riflettere sulle ragioni dell’esistenza del fisco. Non si dà vita autenticamente umana al di fuori di una società organizzata: questa almeno è la convinzione di una impostazione antropologica che affonda le sue radici tanto nel pensiero classico quanto nella tradizione biblica. Le società umane esistono per un fine ben preciso: assicurare la disponibilità del bene comune.
Assicurare la disponibilità delle risorse per fornire alla collettività questi beni, è lo scopo del prelievo fiscale, che trae senso e giustificazione proprio dall’essere strumento per la realizzazione del bene comune. Così non può non risultare piuttosto schizofrenica una società che da un lato reclama la tutela di diritti sempre crescenti (basta pensare alle richieste rivolte al sistema sanitario) e dall’altro si ribella all’idea di farsi carico del relativo costo: si tratta di un esempio di quel problematico disaccoppiamento fra diritti e doveri che segna la cultura contemporanea. Su questo punto insiste purtroppo anche una propaganda politica che punta ad assicurarsi un facile consenso, promettendo prestazioni crescenti e insieme un mondo senza tasse. Il riferimento al bene comune non giustifica sic e simpliciter qualsiasi livello di imposizione fiscale. Da questo punto di vista, a questione fiscale chiama direttamente e profondamente in causa la politica.
In primo luogo, infatti, occorre definire concretamente il perimetro di quel bene comune che la società intende garantire ai propri membri: quali farmaci e trattamenti sanitari rientrano in quella tutela del diritto a carico del singolo? Quanti anni di istruzione sono necessari per garantire il diritto all’educazione? A quale età è giusto permettere ai cittadini di ritirarsi dal lavoro percependo una pensione? Come si vede, si tratta di questioni di bruciante attualità, dalla cui risposta dipende la determinazione del costo dei diversi servizi e quindi delle esigenze fiscali.
In secondo luogo, occorre organizzare i sistemi con cui i diversi componenti del bene comune vengono concretamente ‘prodotti’, scegliendo tra le varie modalità disponibili: la dignità degli anziani è meglio tutelata da un sistema pensionistico obbligatorio gestito dallo Stato o da un sistema assicurativo privato, a base più o meno volontaria? I servizi sanitari, assistenziali o educativi raggiungono meglio il loro scopo se sono gestiti direttamene dall’ente pubblico, se sono affidati ai privati sulla base di una convenzione o se si concede un finanziamento ai singoli (i cosiddetti voucher), che poi lo spende per acquistare servizi sul mercato?
Ciascuna di queste opzioni ha effetti diversi da un lato sulla spesa pubblica (e quindi sulle risorse che è necessario prelevare tramite il sistema fiscale), dall’altro sulla vita e sulle finanze dei cittadini. Da ultimo, occorre anche trovare criteri equi di ripartizione fra i cittadini dei costi del bene comune.
Pur condividendo l’esigenza di promuovere il bene comune, a domande come quelle appena poste si possono dare risposte legittimamente diverse per innumerevoli ragioni, non ultima, nelle nostre società pluraliste, la divergenza, talvolta radicale, sulla concezione dell’uomo e della società, e di conseguenza su quali siano i valori da promuovere e gli assetti sociali che meglio ne danno attuazione. Nettamente diversi sono gli esiti, anche in termini di spesa pubblica e di fiscalità, di un paradigma fondamentalmente individualista, che condurrà ad una società caratterizzata dalla competizione, se non dal conflitto, e che accetterà elevati livelli di esclusione e di un paradigma di tipo personalista, che invece tenderà a privilegiare la solidarietà e la ricerca dell’inclusione e dell’armonia.
Compito della politica è ricercare il maggior consenso possibile, non tanto sulle diverse impostazioni di fondo, quanto sulle misure concrete da adottare: questo lavoro di mediazione, spesso assai faticoso è indispensabile alla promozione del bene comune che in quanto tale o si dà per tutti o non si dà; la sicurezza oggi invocata ne è un buono esempio: non è possibile offrirne tanti livelli quante sono le preferenze dei singoli in materia. Nello svolgimento di questo compito di mediazione trova ragion d’essere e legittimazione il sistema politico e di conseguenza si giustificano i costi che la politica impone alla società per il proprio funzionamento.