( Don Bruno Meneghini) – Fidarsi o non fidarsi? Perché accordare fiducia,? Quali ragioni spingono qualcuno a consegnarsi nelle mani di un altro? Uno dei pregi del libro di NATOLI SALVATORE – Il rischio di fidarsi, è di tener costantemente presenti tali questioni essenziali, che costituiscono il filo su cui si dipana la sua esposizione. Nei primi tre capitoli l’attenzione si concentra sulla dimensione individuale della fiducia. Secondo l’A., fidarsi è anzitutto un fatto naturale, un dato antropologico, strutturante il modo d’essere del soggetto umano, fin dal suo venire al mondo: «Ci fidiamo perché radicati in una certezza originaria. […] Vi è stato “un” qualcuno che ha avuto cura di noi senza che glielo chiedessimo» (p. 8). Si nasce nel legame, l’uomo è legame, condizione data prima ancora che scelta. Se l’adulto accorda fiducia attraverso dinamismi complessi, determinati da ricordi, esperienze, attitudini e calcoli, il bambino è predisposto a un atto incondizionato di fiducia, con cui s’introduce al mondo, di cui guadagna certezza. Non fidarsi è dunque una possibilità seconda.
Nel quarto e quinto capitolo l’A. riflette sul rilievo sociale e pubblico della fiducia. Nonostante tradimenti, promesse disattese, infedeltà, l’uomo continua a fidarsi: una necessità vincolante, fondata sulla sua non-autosufficienza. In ogni società è necessario attivare dispositivi che promuovano, supportino e tutelino la reciproca fiducia tra i suoi membri: è il ruolo del diritto, delle istituzioni, dello Stato. Correggendo filosofi come Aristotele, Hobbes, l’A. esprime una preferenza per le teorie che ritengono compatibili le dinamiche cooperative non quelle autoconservativo-individualiste. Speranza d’un bene possibile e paura di esser traditi, apertura e difesa, titubanza e disponibilità: nell’intrico di tali atteggiamenti procede l’A., sviluppando un’articolata riflessione circa l’aspettativa, considerata come stato affettivo e cognitivo relativo alla fiducia. È proprio perché l’incontro con l’altro avviene in condizioni d’incertezza che s’attiva la domanda: concedo fiducia o m’accosto con riserva? Che cosa succederà?
Natoli sottolinea l’importanza sociale della fiducia accordata dai cittadini alle istituzioni. Ognuno è a un tempo fruitore e responsabile dei servizi, e di tale duplice identità l’A. sottolinea la tendenza a concepirsi come soggetti lesi di diritti da reclamare, più che responsabili della cosa pubblica. Bisogna dunque vigilare e scegliere, ancora una volta, la via della fiducia. Così l’A. passa all’analisi di fisiologia e patologie della politica. Per quanto riguarda queste ultime, la corruzione si colloca un passo oltre inefficienza e incompetenza. In essa si rilevano i reciproci nessi onestà-disonestà; la viziosa circolarità che spesso s’attiva tra crimine organizzato, pubblica amministrazione, ceto politico. La corruzione, presente a ogni livello del sociale, concorre a esasperare i cittadini e a far precipitare la fiducia nei rappresentanti. Nel sesto capitolo è a tema il legame tra fede e fiducia, che si declina nella prospettiva della salvezza futura promessa dalle tradizioni religiose. Natoli insiste qui sull’etimo ebraico impiegato per designare la fede: ’emunah, rivelativo dI una fiducia incondizionata e totale circa la presenza e l’azione salvifica di Dio nella storia del suo popolo. Con il cristianesimo si radicalizza l’esperienza dell’evento salvifico, incarnato nella vicenda del Risorto: la filosofia lascia spazio all’esperienza del credente, che si gioca la vita puntando sulla parola di un Altro. Il testo non conclude con parole definitive su nessuna delle questioni sollevate; tuttavia non è poco, a nostro giudizio, l’aver avviato una riflessione su un tema oggi quanto mai vitale, e dalla cui profonda comprensione e concreta esperienza dipendono in buona parte le sorti di questo nostro mondo.